Page 44 - TESI DI RICCARDO ZANNOLFI
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Periodo  della  Monarchia  (753  a.C.  -  509  a.C.):  ebbe  difficoltà  a  svilupparsi  il
                  principio di una vera e propria giustizia criminale, in quanto l’intervento repressivo

                  statale  compariva  come  strumento  meramente  supplementare;  la  reazione  ai

                  comportamenti dannosi di interessi privati veniva, quindi, affidata alla reazione dei

                  singoli clan gentilizi i quali attuavano una propria giustizia privata.


                  Periodo della Repubblica (509 a.C. - 27 a.C): si assistette ad uno sviluppo del diritto

                  penale grazie all’emanazione di leggi fondamentali, quali la lex Valeria de provocatione,

                  la Legge delle XII tavole e le leggi istitutive delle c.d. quaestiones perpetuae.


                  Periodo del Principato  (27 a.C.  - 284  d.C.)  fu contraddistinto,  in  una  prima  fase,

                  dalla  prevalenza  del  sistema  delle  quaestiones  perpetuae,  ovverosia  i  tribunali

                  permanenti  giudicanti  in  materia  penale  pubblica  e,  in  una  seconda  fase,
                  dall’affermarsi  della  repressione  extra  ordinem,  ossia  di  un  nuovo  sistema  fondato

                  sull’attività di cognizione e del giudizio compiuta direttamente dal princeps o da altro

                  magistrato o funzionario imperiale avente funzione di farne vece; il giudizio finale
                  spettava quindi al popolo raccolto in comizi.

                  Il  sistema  penale  incentrato  sulle  quaestiones  perpetuae  presentava  tre  caratteristiche

                  fondamentali: l’accusa era sostenuta da un privato cittadino; il giudizio definitivo era

                  formulato da una giuria di cittadini (variamente composta nel corso degli anni); il

                  magistrato si limitava a presiedere la giuria, senza partecipare al voto.
                  Le  quaestiones  perpetuae  erano  presiedute  dal  pretore  e  ciascuna  aveva  competenza

                  relativa ad un solo delitto. Dopo l’impulso fornito da un privato cittadino, attraverso

                  la  postulàtio  (richiesta  al  magistrato  del  diritto  di  accusare),  aveva  luogo  la  vera  e
                  propria  accusa  (nòminis  delàtio),  cui seguiva il provvedimento  con cui il  magistrato

                  iscriveva l’accusato nella lista degli imputati. Dopo la formazione della giuria, aveva

                  luogo il vero e proprio dibattimento: al temine di tale fase, i giurati procedevano alla

                  votazione e il magistrato, raccolti i voti, dichiarava solennemente il risultato dello
                  scrutinio, pronunciando sulla colpevolezza o meno dell’accusato.







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