Page 65 - TESI DI RICCARDO ZANNOLFI
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3.3   Le pene pecuniarie.


                  Tra le pene di carattere pecuniario troviamo la multa e l’ammenda.



                  La multa, che in Italia è prevista per i delitti secondo l’articolo 24 del Codice Penale,

                  consiste  nel  pagamento  allo  Stato  di  una  somma  non  inferiore  a  50  euro  e  non

                  superiore a 50.000 euro. Per i delitti determinati da motivi di lucro, ovvero vantaggio
                  patrimoniale, proprio o altrui, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione,

                  il  giudice  può  aggiungere  la  multa  da  euro  50  a  euro  25.000.  Per  taluni  delitti  è

                  prevista la sola pena della multa, mentre per altri la multa si applica alternativamente
                  o congiuntamente alla pena della reclusione; inoltre la reclusione fino a 6 mesi può

                  essere sostituita dal giudice con la multa, ad eccezione di alcuni casi espressamente

                  previsti dalla legge.



                  L'ammenda designa la pena pecuniaria per le contravvenzioni, in contrapposizione
                  alla multa prevista per i delitti.

                  L'art.  26  del  Codice  Penale  precisa  che  consiste  nel  pagamento  allo  Stato  di  una

                  somma non inferiore a 20 euro, né superiore a 10.000 euro.
                  Secondo  l'art.  133-bis  c.p.  il  giudice,  nel  determinazione  dell'ammontare

                  dell'ammenda,  deve  tener  conto  anche  delle  condizioni  economiche  del  reo.  Può

                  aumentare l'ammenda stabilita dalla legge fino al triplo o diminuirla fino a un terzo

                  quando,  per le condizioni  economiche  del reo, ritenga  che la  misura  massima sia
                  inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa

                  Secondo  il  testo  originario  dell'art.  136  c.p.  l'ammenda  non  pagata  si  convertiva

                  nell'arresto; la norma, però, è stata annullata dalla Corte costituzionale con sentenza

                  21  novembre  1979,  n.  131.  Ora,  secondo  l'art.  102  della  legge  n.  689/1981,
                  l'ammenda  non  eseguita  per  insolvibilità  del  condannato  si  converte  nella  libertà

                  controllata per un periodo massimo di sei mesi oppure, a richiesta del condannato,

                  in lavoro sostitutivo.






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