Page 69 - TESI DI RICCARDO ZANNOLFI
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4.1.1 Epoca antica.
Poiché il diritto romano conosceva, come detto nei capitoli precedenti, quasi
esclusivamente pene di carattere privatistico per i trasgressori di norme per lo più di
carattere pecuniario o corporale, il carcere non venne mai preso in considerazione
come misura coercitiva.
Serviva, quasi esclusivamente, “ad continendos homines, non ad puniendos”, ovverosia
contenere uomini allo scopo di assicurarli alla giustizia.
Il sistema penale medievale, principalmente basato sui criteri di vendetta privata,
non dette modo, neppure in quest’epoca, di veder sviluppare il sistema carcerario.
Le frustate, il marchio a fuoco, il bando, le mutilazioni e le esecuzioni aumentarono
fino a divenire la forma dominante di pena e non più quella sostitutiva.
Nella società feudale il carcere inteso come pena, nella forma della privazione della
libertà, non esiste. Il carcere medievale, punitivo e privatistico si fonda sulla
categoria etico-giuridica del “taglione”, a cui si associa il concetto di espiatio,
ovverosia una forma di vendetta basata sul criterio di pareggiare i danni.
L’unico tribunale è quello del signore; lui emana gli ordini, a lui debbono
obbedienza tutti coloro che hanno in concessione la terra o che vivono sui suoi
fondi. La prigione era solo un passaggio temporaneo nell’attesa dell’applicazione
della pena reale, cioè la privazione nei riguardi del colpevole di quei beni riconosciuti
universalmente come valori sociali: la vita, l’integrità fisica, il denaro. La crudeltà e la
spettacolarità assolvevano la funzione di deterrente nei confronti di coloro che
intendevano trasgredire le regole imposte dal Signore feudale.
Detenzione e tortura era principalmente mezzi istruttori per ottenere la confessione
dell’imputato, considerata la prova necessaria alla condanna.
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