Page 73 - TESI DI RICCARDO ZANNOLFI
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scandali e proteste per le deprecabili condizioni degli stabilimenti di pena, veementi
interrogazioni parlamentari e impacciate risposte governative.
Con l’avvento del fascismo i timidi tentativi di riforma del 1920 subirono un brusco
arresto e si ripiombò nell’inerzia che aveva caratterizzato il settore. Non si
sperimentarono più riforme, ma ci si limitò a nominare commissioni di studio che
portarono avanti i lavori con esasperante lentezza.
Nel 1930 vennero approvati il nuovo codice penale “Codice Rocco” e nel 1931 il
nuovo Codice di Procedura Penale.
Venne approvato dal guardasigilli Alfredo Rocco il nuovo “Regolamento per gli
Istituti di prevenzione e di pena”, fedele traduzione dell’ideologia fascista nel settore
penitenziario, che rimarrà in vigore fino al 1975.
Non venne varato un ordinamento radicalmente nuovo perché il regolamento del
1891 viene sostanzialmente mantenuto.
Rimangono le tre leggi fondamentali della vita carceraria (lavoro, istruzione civile e
pratiche religiose) che divengono tassative, nel senso che ogni altra attività è non
solo vietata ma fatta oggetto di sanzioni disciplinari. I punti qualificanti del
regolamento Rocco sono la rigida separazione tra il mondo carcerario e la realtà
esterna; la limitazione delle attività consentite in carcere alle tre leggi fondamentali
del trattamento (pratiche religiose, lavoro e istruzione); l’atomizzazione dei detenuti
impedendo loro qualsiasi collegamento e presa di coscienza collettiva; l’esclusione
dal carcere di qualsiasi persona estranea cioè non inserita nella gerarchia e non
sottoposta alla disciplina penitenziaria e l’obbligo di chiamare i detenuti con il
numero di matricola volto alla soppressione della personalità del detenuto. Secondo
il regolamento del 1931 il carcere giudiziario era uno stabilimento di custodia
preventiva, cioè riservato a coloro che devono ancora essere giudicati, ma sono stati
arrestati per assicurarne la presenza al processo.
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