Quis ut Deus? IL GRANO DIVENUTO GRAMIGNA In giapponese i termini "Ushinawareta tenshi" (失われた天使) e "Zassō ni natta kokumotsu" (雑草になった穀物) hanno un significato filosofico molto simile. Il primo termine significa "Angeli smarriti", il secondo "Il grano divenuto gramigna". Il titolo in latino "Quis ut Deus?" è il significato del nome Michele, composto dai termini mi ("chi"), kha ("come") ed El ("Dio") Chi [è] come Dio? Nell'immagine superiore San Michele Arcangelo guida di nuovo alla vittoria la milizia celeste degli angeli di Dio contro Lucifero, che fu serafino e perciò fratello degli Arcangeli, e i suoi angeli (un terzo del totale), ribelli e apostati. Lucifero emblema assoluto d'una ribellione nata da un animo insoddisfatto. L'apostasìa (dal greco ἀπό apò «[lontano] da» e στάσις stàsis da ἵστημι ìstemi «stare, collocarsi») è l'abbandono formale e volontario della propria religione (in tale contesto si parlerà più propriamente di apostata della religione). All'apostasia può seguire sia l'adesione ad un'altra religione (conversione), sia una scelta areligiosa (ateismo o agnosticismo). In senso stretto, il termine è riferito alla rinuncia e alla critica del proprio precedente credo. Molte religioni considerano l'apostasia una degenerazione della virtù della pietà, nel senso che, quando viene a mancare la pietà, l'apostasia ne è la conseguenza. Ebbene, nel KHS MARTIAL ART la conversazione con gli Organi Direttivi prima, l'accoglimento dello Statuto e del Regolamento Federale dopo, infine la presentazione della domanda di accettazione quale Socio Fruitore e la firma in calce, corrispondono all'accettazione di un "credo", che possiede come corea una scelta di vita alla ricerca del Bene ed il rifiuto del Male. Alcuni Allievi decidono che il camminamento non è fatto per loro quindi abbandonano. Altri, dimentichi di ciò, si coalizzano credendo così di poter gestire la politica interna della Scuola. Poiché la conduzione da parte di un Allievo o ancor peggio di un gruppo ovviamente non è realizzabile, la naturale conseguenza dopo la loro relativa dissociazione ed il tacito allontanamento della loro cerchia (il più debole, già citato, terzo del totale) è stato l'allontanamento vitalizio. Nel KHS MARTIAL ART tutti gli allontanamenti assumono come complemento il termine "vitalizio" ovverosia "per tutta la vita". Ma a quale vita mi riferisco? A quella che non merita d'essere vissuta. Queste stesse persone in fase di formazione, sia etica, sia disciplinare, si propongono come istruttori marziali millantandone titolo e capacità non possedute; frodando coloro che ignari vi s'avvicinano; senza coscienza aprono le porte di nuove scuole di Arti Marziali le quali di marziale hanno il niente. Recitano parole rubate di cui non ne conoscono il significato morale in quanto inclini all'inganno reiterato. I più imponenti governano cubicoli convinti di presiedere capitali mentre gli offesi si coricano con il "Principe del mondo" ignorandone, forse, le reali sembianze. Gli Angeli caduti hanno gli stessi sguardi, dicono le stesse parole e citano gli stessi autori. Polemizzano per omologhi eventi e s’abbattono al suolo con lo stesso identico suono. Tuttavia ad essi il compito di verificare il livello di "pietas" dell'uomo, ovvero del suo amore e della sua dedizione verso il suo Credo; questi angeli caduti dovrebbero essere quelli che riportano a Dio tutti i peccati commessi dall'uomo. La tradizione assegna a questo angelo caduto, chiamato anche Samael, un altro strano compito, gli ebrei credono che questo angelo distruttore partecipi al volere divino e mandi la morte agli uomini. Non c’è bisogno d’aver cura di modificare gli eventi in quanto si reiterano come tutte le azioni. Che il comandante delle milizie celesti, valoroso guerriero dell’Altissimo, ci difenda nella battaglia e sia nostro scudo contro le insidie di: Astaroth, Belfagor, Belzebù, Belial, Lilith, Asmodeus, Azazel, Baal, Dagon, Moloch, Mammona, Mefistofele, Samael e molti altri ancora, angeli seguaci del re infernale Satana, caduti dal cielo insieme a lui. Te lo chiediamo supplici piegando il ginocchio e pregando umilmente e fervidamente… Che il Signore Dio lo comandi! Il mantra angelico per questa richiesta di protezione è: San Michele, comandante delle milizie celesti, valoroso guerriero dell’Altissimo, difendici nella battaglia sii nostro scudo contro le insidie del maligno. Te lo chiediamo supplici. Che il Signore Dio lo comandi. Il malicidium introdotto da Bernard de Fontaine abate e teologo francese, fondatore di molti monasteri, santo da Chiesa cattolica, Chiesa anglicana e Chiesa luterana. Canonizzato da papa Alessandro III, dichiarato dottore della Chiesa da papa Pio VIII e a cui papa Pio XII Bernardo gli dedicò l'enciclica Doctor Mellifluus, riprendendo il concetto di «guerra giusta» introdotto da Agostino d'Ippona, teorizza che l'uccisione di un infedele, di un eretico o di un pagano - giudicati come nemici della fede - non deve essere considerata come un omicidio (vietato dal V Comandamento), ma come un «malicidio», ovvero come l'estirpazione di un male. Il pagano da sopprimere doveva essere eliminato in quanto portatore di un Male assoluto e irredimibile, ma restava degno di amore per la sua umanità. A questo proposito: «Per Sant’Agostino l'uso della violenza per il bene altrui si giustifica con l'attitudine naturale del padre che castiga il figlio per educarlo.» La loro cerchia diviene testimonianza da collocare nel loro riarso giardino. Solo questi ultimi avranno molte altre vite per apprendere come procedere sul sentiero ed a quale viatico affidarsi per giungere alla meta. I primi contrariamente regrediranno senza alcuna possibilità di ricorso. Le ombre di tanta espressa dolenza, a poco a poco, sbiadiranno e con loro la disarmonica insolenza. D'altronde le virtù non si possono regalare così neppure l'intelligenza. Come già scritto: il nostro animo riconosce il Bene ed il Male. La nostra mente valuta i guadagni e le perdite. Ciò fatto, agiamo di conseguenza. Il “Buon Maestro” ha appreso che così facendo si rimane sconfitti prima ancora di dare inizio a qualsiasi combattimento, qualsivoglia azione o qualunque opera. Egli rifiuta a priori ciò che ha imparato a identificare come «Male» e agisce in virtù di questo convincimento. Siate! Non serve a nulla “sembrare”. Siate! Seppur incapaci, doloranti e incerti siate! Non cedete nel far credere agli altri ciò che non siete. La verità, una volta per tutte, vi opprimerà relegandovi quale gramigna in campi rigogliosi di dorato grano. Siamo gli artefici, gli artigiani della nostra dimora e se agiamo nel bene l'Animo è capace di rivelazioni impensabili. Ciò che il buio celava è ricondotto alla luce e ciò che appariva distante torna a noi per restituirci la vita stessa. M° Michele Zannolfi FONDATORE DEL KHS MARTIAL ART 1982 CreativeDragonfly photographic realization le arti marziali come un insieme di mosse o d'idee LO SVILUPPO DELLE ARTI MARZIALI IN CINA Qi Jiguang 戚繼光 certamente sapeva come muoversi sul campo di battaglia. Condottiero militare nel XVI secolo, durante la dinastia Ming, passò molti anni a difendere la Cina orientale dagli attacchi di pirati e predoni giapponesi, e successivamente soprintese ad un massiccio rinforzamento della Grande muraglia cinese. Si ritiene inoltre che sia stata la prima persona ad aver documentato le arti marziali cinesi, nel suo manuale militare New Treatise on Military Efficiency (Nuovo trattato sull’efficienza militare, NdT) (o Jixiao Xinshu). Secondo Jonathan Clements, autore di A Brief History of the Martial Arts (Breve storia delle arti marziali, NdT), la sua sarebbe “la prima fonte verificabile a spiegare in pratica le arti marziali, illustrandole come un insieme di mosse o idee”. Nel suo 14° capitolo, tradotto in inglese con ‘The Fist Canon and the Essentials of Nimbleness’ (L’arte del pugno e i fondamenti dell’abilità, NdT), Qi spiega l’importanza del combattimento corpo a corpo come strumento vitale nell’addestramento dei soldati. Ovviamente le arti marziali esistevano già da secoli, quando Qi le descrisse. Ad una leggendaria esponente di questa pratica, Hua Mulan, guerriera del V secolo del folklore cinese ed eroina di Mulan della Disney, si rende oggi omaggio con uno stile eponimo del tai chi. Queste testimonianze indicano già la venerabilità dell’attività, che sembra tuttavia risalire a tempi molto precedenti: “Ci sono citazioni che si riferiscono a oltre duemila anni fa” racconta Clements a National Geographic. “[Il filosofo] Confucio stesso menziona le "danze di guerra" dell’età del bronzo, termine antico che potrebbe riferirsi a qualche tipo di multidisciplina con le armi. Ma non sappiamo con certezza se queste danze di guerra ne facciano effettivamente parte”. Nella loro definizione più ampia, le arti marziali esistono da quando gli esseri umani si uccidono l’un l’altro. La loro storia dunque corrisponde tristemente alla storia della nostra specie. Secondo la International Wushu Federation, l’ente che disciplina lo sport del wushu (o kung fu cinese) in tutte le sue forme in tutto il mondo, “le origini del wushu possono essere fatte risalire all’uomo primitivo e alla sua lotta per la sopravvivenza negli ambienti ostili dell’età del bronzo, o anche prima; una lotta che portò allo sviluppo di tecniche per difendersi sia dagli animali selvatici sia da altri esseri umani”. Come sottolinea Clements: “È molto frustrante per gli storici, perché si passa da un momento all’altro, nel XVI secolo, dal non avere evidenza alcuna a testimonianze che affermano che le arti marziali esistevano già da 500 anni o anche più. Ma non ci sono fasi intermedie che ci consentano di verificare tali informazioni”. In tutte le storie delle arti marziali cinesi c’è un primo pioniere citato più volte: è Sun Tzu, autore del trattato L’arte della guerra, del V secolo a.C.. Clements tuttavia non è certo di questa corrispondenza. “Molti insegnanti di arti marziali citano L’arte della guerra dicendo che è un manuale di arti marziali, ma Sun Tzu non fa menzione del combattimento corpo a corpo, ed effettivamente non parla granché nemmeno del combattimento armato. Alcuni dei suoi aforismi possono essere applicati al combattimento corpo a corpo, ma non nascono con quel riferimento” (nel 2012 Clements ha pubblicato una nuova traduzione del libro di Sun Tzu). Più o meno allo stesso periodo al quale risale L’arte della guerra, risalgono storie sulla fanciulla di Yue, un’insegnante di arti marziali famosa per essere stata consigliera del proprio re, Goujian, in merito ai metodi di combattimento. Clements puntualizza che non ci sono prove che la storia si basi su eventi realmente accaduti, ma “è affascinante vedere come viene raccontato come dato di fatto che il primo insegnante di arti marziali di cui ci sia traccia fosse una donna”. “C’è questa presunzione sessista che la guerra sia un’attività e una vocazione maschile, ma a Goujian sembra non interessare”, aggiunge. “Sa che lei è la migliore e quindi è lei che incarica”. La storia fa eco a quella di Hua Mulan, che, come narra la leggenda, si travestì da uomo per prendere il posto del padre malato nell’esercito imperiale. La padronanza che sviluppò nelle arti del combattimento e il suo diventare una vera guerriera vengono raccontati nell’Ode di Mulan, un poema popolare anonimo che si ritiene essere stato scritto durante la dinastia Wei del nord (386-534 d.C.). Buddhabhadra, ritenuto essere arrivato dall’India in Cina, nella regione delle montagne Songshan, era profondamente rispettato dall’imperatore Xiao Wen, che agevolò la costruzione del tempio. Si pensa che l’introduzione delle arti marziali in questa zona possa essere avvenuta attraverso di lui, anche se lo stesso ruolo potrebbe essere stato ricoperto da un successivo occupante del tempio, Bodhidharma. Più tardi, durante la dinastia Ming, le autorità si trovarono a reclutare nuovi soldati nella battaglia contro banditi e pirati invasori (a questo periodo risalgono Qi Jiguang e il suo Nuovo trattato sull’efficienza militare). Come scrive Clements nel suo libro: “La necessità di reperire e addestrare soldati e fornire all’uomo comune i mezzi per difendersi, in tempi di attacchi e incursioni, creò le condizioni concrete che probabilmente dettero vita a molte delle arti marziali”. Le arti marziali stavano dunque entrando nell’età moderna, ma la loro storia rimaneva oscurata da miti e leggende. Clements spiega come, durante la dinastia Qing (1644-1912), la censura e l’oppressione del governo fossero così invasive da rendere difficile distinguere i fatti storici dalla finzione. “A questo si aggiungano i danni subiti dai documenti dalle centinaia di anni di sconvolgimenti successivi alle guerre dell’oppio, e anche i danni arrecati durante la Rivoluzione culturale: moltissimi volumi sulla storia delle arti marziali cinesi sono stati di fatto curati e conservati ad esempio dall’industria cinematografica di Hong Kong”, aggiunge. Nel percorso che le arti marziali hanno fatto verso il loro riconoscimento a livello globale, il passo decisivo è avvenuto all’inizio del XX secolo, quando raggiunsero, a calci e pugni, l’occidente; e il tutto non partì, inizialmente, dalla Cina. La pratica del 'Bartitsu', l’arte marziale sviluppata dall’ingegnere britannico Edward Barton-Wright, con un bastone da passeggio, dopo aver trascorso un periodo in Giappone, in quanto fu affascinato dall’uso delle dinamiche di leve ed equilibrio usate nelle pratiche marziali. Barton-Wright, la cui esperienza di jujutsu e judo, fondò la Bartitsu Academy of Arms and Physical Culture (Accademia del Bartitsu di Armi e Cultura Fisica) a Londra, nel 1898. Anche l’America fu sedotta dal dinamismo del combattimento non armato giapponese, in particolare dopo che il presidente Theodore Roosevelt prese lezioni nel 1904 da Yamashita Yoshiaki, il che portò all’addestramento del personale militare americano con tecniche di judo e poi di jujutsu. Mentre queste prime incursioni in occidente furono dominate da stili giapponesi, negli anni ’40 la preferenza tornò a favore degli stili cinesi. A seguito di un bando sui film di arti marziali da parte del governo del Kuomintang negli anni ’30 – nell’ambito delle sue politiche anti-imperialiste ed esterofobe – molte compagnie cinematografiche di Shanghai si trasferirono in quella che era allora la colonia britannica di Hong Kong, portando il genere alla sua età dell’oro. Particolarmente importante fu un film del 1948 dal titolo The True Story of Wong Fei-hung (La vera storia di Wong Fei-hung, NdT), con protagonista Kwan Tak-hing, che portò la rappresentazione di Wong sugli schermi ben oltre 70 volte. Bruce Lee nel suo ultimo film, uscito postumo, Game of Death (L'ultimo combattimento di Chen). Il carisma e la fisicità che Lee trasmetteva sullo schermo determinò la fama del kung fu, e un seguito che affermò questa arte marziale a livello internazionale. Al momento della sua morte, nel 1973, Lee era un’icona conosciuta in tutto il mondo. “Le arti marziali stavano dunque entrando nell’età moderna ma la loro storia rimaneva oscura, tra mito e leggenda”. Il genere riscosse sempre maggiore successo, sia negli ambienti della diaspora cinese che tra il pubblico occidentale, aiutato inizialmente da due principali studios di Hong Kong, il Shaw Brothers e il Golden Harvest. Fu il secondo, grazie alla star di fama mondiale (e molto probabilmente il più grande eroe di arti marziali cinesi) Bruce Lee, a portare al pubblico di tutto il mondo film come Fist of Fury (Dalla Cina con furore) (1972) e Enter the Dragon (I tre dell'Operazione Drago) (1973). “Il ruolo di Bruce Lee è stato cruciale”, afferma Clements “al cinema e sul piccolo schermo divenne il simbolo delle arti marziali, in particolare del wing chun [kung fu], che solo 120 anni fa era una disciplina sconosciuta, praticata solo da qualche decina di persone”. Il potere delle arti marziali nella promozione della cultura cinese all’estero fu presto riconosciuto dal Partito comunista della Repubblica Popolare, che all’inizio degli anni ’80 consentì le riprese del film Shaolin Temple (I giganti del karaté) sul posto, in Cina. Di enorme successo, con Jet Li nel suo primo ruolo da protagonista, la pellicola determinò un’ondata di turismo verso la Cina e aprì la strada al wushu, in tutte le sue forme, riunite sotto la International Wushu Federation, fondata a Pechino nel 1990. La federazione ora distingue le competizioni in taolu (serie di movimenti) e sanda (combattimento corpo a corpo). Tuttavia esiste una miriade di stili di combattimento cinesi. Sicuramente la Cina rivendica la paternità di più stili di arti marziali di qualsiasi altro Paese, anche se Giappone e Corea potrebbero contestarlo. C’è solo l’imbarazzo della scelta: si va dall’elaborata imitazione dei movimenti degli animali all’utilizzo della forza vitale nota come qi, e altri stili ispirati alla mitologia e alla filosofia cinesi. Divisi da fazioni antagoniste e ideologie contrastanti, e avvolti nel mistero, i vari stili vengono ulteriormente confusi in quanto classificati in molti modi differenti. Il gruppo di arti marziali del Nord, ad esempio (originarie delle regioni a nord del fiume Yangste, il Fiume Azzurro), comprendono stili come Baguazhang, Bajiquan, Chaquan, Chuojiao, Eagle Claw (Pugilato degli Artigli dell’Aquila), Northern Praying Mantis (Pugilato della Mantide Religiosa del Nord) e Taijiquan. Gli stili del Sud (delle regioni a sud dello Yangste) comprendono Choy Gar, Hung Ga, Mok Gar, Choy Li Fut, Wing Chun e Southern Praying Mantis (Pugilato della Mantide Religiosa del Nord). Esiste anche una distinzione tra stili “duri” (o esterni) e stili “morbidi” (interni). E quali sono le prospettive di tutte queste tecniche di combattimento? Per Clements, il pericolo maggiore che incombe su tutte le arti marziali moderne è quella che lui chiama “sportificazione”. “Alcuni praticanti di queste tecniche accettano con entusiasmo il sistema di classifiche, tornei, cinture e punteggi, ma altri vedono queste innovazioni come un tradimento delle origini filosofiche di queste discipline, o mere strategie per fare soldi”. Clements è diffidente anche sulla standardizzazione del wushu: “Trasforma un’intera tradizione variegata di decine di sistemi diversi in una serie di performance da punteggio e ostentazioni acrobatiche. Dovrebbe essere un esercizio di preservazione culturale, ma spesso calpesta la vera natura di queste discipline, cancellandone i fondamenti religiosi e filosofici e, a dire il vero, gran parte del loro valore pratico”. L’evoluzione delle arti marziali cinesi da forma di combattimento e filosofia a sport può aver “svigorito” il loro scopo originario. Ma allo stesso tempo la loro sempre crescente proliferazione nella letteratura, nella cinematografia e nello sport ha diffuso un elemento centrale della cultura cinese in ogni parte del mondo. DA DOMINIC BLISS PUBBLICATO 4 SET 2020, 09:47 CEST,
LO SVILUPPO DELLE ARTI MARZIALI IN CINA Qi Jiguang 戚繼光 certamente sapeva come muoversi sul campo di battaglia. Condottiero militare nel XVI secolo, durante la dinastia Ming, passò molti anni a difendere la Cina orientale dagli attacchi di pirati e predoni giapponesi, e successivamente soprintese ad un massiccio rinforzamento della Grande muraglia cinese. Si ritiene inoltre che sia stata la prima persona ad aver documentato le arti marziali cinesi, nel suo manuale militare New Treatise on Military Efficiency (Nuovo trattato sull’efficienza militare, NdT) (o Jixiao Xinshu). Secondo Jonathan Clements, autore di A Brief History of the Martial Arts (Breve storia delle arti marziali, NdT), la sua sarebbe “la prima fonte verificabile a spiegare in pratica le arti marziali, illustrandole come un insieme di mosse o idee”. Nel suo 14° capitolo, tradotto in inglese con ‘The Fist Canon and the Essentials of Nimbleness’ (L’arte del pugno e i fondamenti dell’abilità, NdT), Qi spiega l’importanza del combattimento corpo a corpo come strumento vitale nell’addestramento dei soldati. Ovviamente le arti marziali esistevano già da secoli, quando Qi le descrisse. Ad una leggendaria esponente di questa pratica, Hua Mulan, guerriera del V secolo del folklore cinese ed eroina di Mulan della Disney, si rende oggi omaggio con uno stile eponimo del tai chi. Queste testimonianze indicano già la venerabilità dell’attività, che sembra tuttavia risalire a tempi molto precedenti: “Ci sono citazioni che si riferiscono a oltre duemila anni fa” racconta Clements a National Geographic. “[Il filosofo] Confucio stesso menziona le "danze di guerra" dell’età del bronzo, termine antico che potrebbe riferirsi a qualche tipo di multidisciplina con le armi. Ma non sappiamo con certezza se queste danze di guerra ne facciano effettivamente parte”. Nella loro definizione più ampia, le arti marziali esistono da quando gli esseri umani si uccidono l’un l’altro. La loro storia dunque corrisponde tristemente alla storia della nostra specie. Secondo la International Wushu Federation, l’ente che disciplina lo sport del wushu (o kung fu cinese) in tutte le sue forme in tutto il mondo, “le origini del wushu possono essere fatte risalire all’uomo primitivo e alla sua lotta per la sopravvivenza negli ambienti ostili dell’età del bronzo, o anche prima; una lotta che portò allo sviluppo di tecniche per difendersi sia dagli animali selvatici sia da altri esseri umani”. Come sottolinea Clements: “È molto frustrante per gli storici, perché si passa da un momento all’altro, nel XVI secolo, dal non avere evidenza alcuna a testimonianze che affermano che le arti marziali esistevano già da 500 anni o anche più. Ma non ci sono fasi intermedie che ci consentano di verificare tali informazioni”. In tutte le storie delle arti marziali cinesi c’è un primo pioniere citato più volte: è Sun Tzu, autore del trattato L’arte della guerra, del V secolo a.C.. Clements tuttavia non è certo di questa corrispondenza. “Molti insegnanti di arti marziali citano L’arte della guerra dicendo che è un manuale di arti marziali, ma Sun Tzu non fa menzione del combattimento corpo a corpo, ed effettivamente non parla granché nemmeno del combattimento armato. Alcuni dei suoi aforismi possono essere applicati al combattimento corpo a corpo, ma non nascono con quel riferimento” (nel 2012 Clements ha pubblicato una nuova traduzione del libro di Sun Tzu). Più o meno allo stesso periodo al quale risale L’arte della guerra, risalgono storie sulla fanciulla di Yue, un’insegnante di arti marziali famosa per essere stata consigliera del proprio re, Goujian, in merito ai metodi di combattimento. Clements puntualizza che non ci sono prove che la storia si basi su eventi realmente accaduti, ma “è affascinante vedere come viene raccontato come dato di fatto che il primo insegnante di arti marziali di cui ci sia traccia fosse una donna”. “C’è questa presunzione sessista che la guerra sia un’attività e una vocazione maschile, ma a Goujian sembra non interessare”, aggiunge. “Sa che lei è la migliore e quindi è lei che incarica”. La storia fa eco a quella di Hua Mulan, che, come narra la leggenda, si travestì da uomo per prendere il posto del padre malato nell’esercito imperiale. La padronanza che sviluppò nelle arti del combattimento e il suo diventare una vera guerriera vengono raccontati nell’Ode di Mulan, un poema popolare anonimo che si ritiene essere stato scritto durante la dinastia Wei del nord (386-534 d.C.). Buddhabhadra, ritenuto essere arrivato dall’India in Cina, nella regione delle montagne Songshan, era profondamente rispettato dall’imperatore Xiao Wen, che agevolò la costruzione del tempio. Si pensa che l’introduzione delle arti marziali in questa zona possa essere avvenuta attraverso di lui, anche se lo stesso ruolo potrebbe essere stato ricoperto da un successivo occupante del tempio, Bodhidharma. Più tardi, durante la dinastia Ming, le autorità si trovarono a reclutare nuovi soldati nella battaglia contro banditi e pirati invasori (a questo periodo risalgono Qi Jiguang e il suo Nuovo trattato sull’efficienza militare). Come scrive Clements nel suo libro: “La necessità di reperire e addestrare soldati e fornire all’uomo comune i mezzi per difendersi, in tempi di attacchi e incursioni, creò le condizioni concrete che probabilmente dettero vita a molte delle arti marziali”. Le arti marziali stavano dunque entrando nell’età moderna, ma la loro storia rimaneva oscurata da miti e leggende. Clements spiega come, durante la dinastia Qing (1644-1912), la censura e l’oppressione del governo fossero così invasive da rendere difficile distinguere i fatti storici dalla finzione. “A questo si aggiungano i danni subiti dai documenti dalle centinaia di anni di sconvolgimenti successivi alle guerre dell’oppio, e anche i danni arrecati durante la Rivoluzione culturale: moltissimi volumi sulla storia delle arti marziali cinesi sono stati di fatto curati e conservati ad esempio dall’industria cinematografica di Hong Kong”, aggiunge. Nel percorso che le arti marziali hanno fatto verso il loro riconoscimento a livello globale, il passo decisivo è avvenuto all’inizio del XX secolo, quando raggiunsero, a calci e pugni, l’occidente; e il tutto non partì, inizialmente, dalla Cina. La pratica del 'Bartitsu', l’arte marziale sviluppata dall’ingegnere britannico Edward Barton-Wright, con un bastone da passeggio, dopo aver trascorso un periodo in Giappone, in quanto fu affascinato dall’uso delle dinamiche di leve ed equilibrio usate nelle pratiche marziali. Barton-Wright, la cui esperienza di jujutsu e judo, fondò la Bartitsu Academy of Arms and Physical Culture (Accademia del Bartitsu di Armi e Cultura Fisica) a Londra, nel 1898. Anche l’America fu sedotta dal dinamismo del combattimento non armato giapponese, in particolare dopo che il presidente Theodore Roosevelt prese lezioni nel 1904 da Yamashita Yoshiaki, il che portò all’addestramento del personale militare americano con tecniche di judo e poi di jujutsu. Mentre queste prime incursioni in occidente furono dominate da stili giapponesi, negli anni ’40 la preferenza tornò a favore degli stili cinesi. A seguito di un bando sui film di arti marziali da parte del governo del Kuomintang negli anni ’30 – nell’ambito delle sue politiche anti-imperialiste ed esterofobe – molte compagnie cinematografiche di Shanghai si trasferirono in quella che era allora la colonia britannica di Hong Kong, portando il genere alla sua età dell’oro. Particolarmente importante fu un film del 1948 dal titolo The True Story of Wong Fei-hung (La vera storia di Wong Fei-hung, NdT), con protagonista Kwan Tak-hing, che portò la rappresentazione di Wong sugli schermi ben oltre 70 volte. Bruce Lee nel suo ultimo film, uscito postumo, Game of Death (L'ultimo combattimento di Chen). Il carisma e la fisicità che Lee trasmetteva sullo schermo determinò la fama del kung fu, e un seguito che affermò questa arte marziale a livello internazionale. Al momento della sua morte, nel 1973, Lee era un’icona conosciuta in tutto il mondo. “Le arti marziali stavano dunque entrando nell’età moderna ma la loro storia rimaneva oscura, tra mito e leggenda”. Il genere riscosse sempre maggiore successo, sia negli ambienti della diaspora cinese che tra il pubblico occidentale, aiutato inizialmente da due principali studios di Hong Kong, il Shaw Brothers e il Golden Harvest. Fu il secondo, grazie alla star di fama mondiale (e molto probabilmente il più grande eroe di arti marziali cinesi) Bruce Lee, a portare al pubblico di tutto il mondo film come Fist of Fury (Dalla Cina con furore) (1972) e Enter the Dragon (I tre dell'Operazione Drago) (1973). “Il ruolo di Bruce Lee è stato cruciale”, afferma Clements “al cinema e sul piccolo schermo divenne il simbolo delle arti marziali, in particolare del wing chun [kung fu], che solo 120 anni fa era una disciplina sconosciuta, praticata solo da qualche decina di persone”. Il potere delle arti marziali nella promozione della cultura cinese all’estero fu presto riconosciuto dal Partito comunista della Repubblica Popolare, che all’inizio degli anni ’80 consentì le riprese del film Shaolin Temple (I giganti del karaté) sul posto, in Cina. Di enorme successo, con Jet Li nel suo primo ruolo da protagonista, la pellicola determinò un’ondata di turismo verso la Cina e aprì la strada al wushu, in tutte le sue forme, riunite sotto la International Wushu Federation, fondata a Pechino nel 1990. La federazione ora distingue le competizioni in taolu (serie di movimenti) e sanda (combattimento corpo a corpo). Tuttavia esiste una miriade di stili di combattimento cinesi. Sicuramente la Cina rivendica la paternità di più stili di arti marziali di qualsiasi altro Paese, anche se Giappone e Corea potrebbero contestarlo. C’è solo l’imbarazzo della scelta: si va dall’elaborata imitazione dei movimenti degli animali all’utilizzo della forza vitale nota come qi, e altri stili ispirati alla mitologia e alla filosofia cinesi. Divisi da fazioni antagoniste e ideologie contrastanti, e avvolti nel mistero, i vari stili vengono ulteriormente confusi in quanto classificati in molti modi differenti. Il gruppo di arti marziali del Nord, ad esempio (originarie delle regioni a nord del fiume Yangste, il Fiume Azzurro), comprendono stili come Baguazhang, Bajiquan, Chaquan, Chuojiao, Eagle Claw (Pugilato degli Artigli dell’Aquila), Northern Praying Mantis (Pugilato della Mantide Religiosa del Nord) e Taijiquan. Gli stili del Sud (delle regioni a sud dello Yangste) comprendono Choy Gar, Hung Ga, Mok Gar, Choy Li Fut, Wing Chun e Southern Praying Mantis (Pugilato della Mantide Religiosa del Nord). Esiste anche una distinzione tra stili “duri” (o esterni) e stili “morbidi” (interni). E quali sono le prospettive di tutte queste tecniche di combattimento? Per Clements, il pericolo maggiore che incombe su tutte le arti marziali moderne è quella che lui chiama “sportificazione”. “Alcuni praticanti di queste tecniche accettano con entusiasmo il sistema di classifiche, tornei, cinture e punteggi, ma altri vedono queste innovazioni come un tradimento delle origini filosofiche di queste discipline, o mere strategie per fare soldi”. Clements è diffidente anche sulla standardizzazione del wushu: “Trasforma un’intera tradizione variegata di decine di sistemi diversi in una serie di performance da punteggio e ostentazioni acrobatiche. Dovrebbe essere un esercizio di preservazione culturale, ma spesso calpesta la vera natura di queste discipline, cancellandone i fondamenti religiosi e filosofici e, a dire il vero, gran parte del loro valore pratico”. L’evoluzione delle arti marziali cinesi da forma di combattimento e filosofia a sport può aver “svigorito” il loro scopo originario. Ma allo stesso tempo la loro sempre crescente proliferazione nella letteratura, nella cinematografia e nello sport ha diffuso un elemento centrale della cultura cinese in ogni parte del mondo. DA DOMINIC BLISS PUBBLICATO 4 SET 2020, 09:47 CEST,