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TRADITI E TRADITORI

Per denaro o per un ideale, per sete di potere o per invidia... I motivi sono i più vari, ma l'esito è uno solo: il tradimento.

Per visionare le note esplicative nel testo, è sufficiente passare il mouse sopra la parola e attendere. Il tempo d'apertura è strettamente legato al tipo di collegamento di cui disponete.


 

GIUDA & COMPANY

a cura di

Umberto Maiorca

Colpiscono l'alleato alle spalle, si comportano in maniera scorretta con chi ha fiducia in loro, vengono meno alla parola data, arrivano perfino ad uccidere... Ma ciò che viene tramandato non sempre corrisponde alla verità. La nomea di traditore, infatti, può nascere perfino da un errore di trascrizione. O come accade più spesso da cronache redatte dagli avversari del presento "infame". Colpa del cantastorie. Alcuni traditori sono stati addirittura creati per esigenze letterarie; che cosa , se non un tradimento, potrebbe giustificare la morte di grandi eroi. come re Artu?

Giuda Iscariota

Un suicidio tinto di giallo

(Palestina, I secolo d.C.)

di Massimo Centini

[...] Mi tradirai con un bacio [...]

Traditore per eccellenza, Giuda Iscariota, ("uomo di Querjoth", un villaggio della Giudea meridionale) fu, nel I secolo, l'artefice della cattura di Gesù Cristo. Secondo i 4 evangelisti, Giuda fece arrestare Cristo nell'orto dei Getsmani, indicandolo con il famoso bacio, ed in cambio ottenne dal Sinedrio di Gerusalemme 30 denari, poco più del prezzo d'uno schiavo nella Palestina del I secolo. Una cifra ridicolmente bassa per l'uomo che svolgeva tra gli Apostoli il ruolo di cassiere: fuggire con la cassa gli avrebbe reso molto di più.

LOTTA ARMATA

Perché tradì allora? Forse perché si sentiva "tradito" da Cristo: è probabile che l'apostolo s'attendesse dal Messia un atteggiamento diverso, più combattivo, più antiromano. La mancanza di ogni invito alla lotta armata da parte di Gesù lo convinse, probabilmente, che il preteso Messia fosse solo uno dei tanti predicatori destinati a lasciare immutata la situazione politica dell'epoca. I Vangeli aggiungono che Giuda si pentì e si recò dai sacerdoti del Sinedrio per restituire i 30 denari, ma la somma non fu accettata e Giuda venne cacciato. Travolto dal rimorso, Giuda s'impiccò: questa è la versione più diffusa, ormai entrata a far parte della tradizione collettiva. In realtà gli Atti degli Apostoli suggeriscono un diverso svolgimento dei fatti: Giuda non restituì affatto la somma ai sinedriti, ma acquistò un campo alla periferia di Gerusalemme. E proprio qui "precipitando in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere. La cosa è divenuta così nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme che quel terreno è stato chiamato nella loro lingua Akeldamà, ciè Campo di sangue" (Atti degli Apostoli 1,18-19).

 VENDETTA O SICARIO

Strana descrizione... fa pensare a un "luogo del delitto": lo scempio del corpo di Giuda potrebbe essere dovuto a un omicidio? L'ipotesi è sensata:il tradimento dell'iscariota potrebbe aver determinato la reazione violenti di alcuni apostoli. Oppure, tenendo conto che il grande traditore "sapeva troppo", forse fu addirittura eliminato da un sicario del Sinedrio...

 

Gran Jean Dast - Grajano d'Asti

L'unica vittima della disfida di Barletta... e di un refuso

(Italia, 1503)

[...] Gran Jean Dast, soccorso dai compagni d'armi [...]

La disfida di Barletta ci è nota soprattutto per il resoconto storico letterario scritto da Massimo D'Azeglio, in pieno Risorgimento. Argomento: la guerra franco-spagnola scoppiata nel '500 per il possesso del Mezzogiorno d'Italia. Fu quindi la letteratura, più che la storia, a bollare come traditore un cavaliere che in realtà non aveva fatto proprio nulla di disonorevole.

COLPA DEL COPISTA

Durante l'assedio di Barletta, il francese Jacques La Motte insulta l'onore degli italiani (che militano al servizio della Spagna) tacciandoli di codardia. Per lavare l'onta ,gli italiani, lanciano una sfida: una giostra d'arme fra 13 cavalieri italiani contro 13 cavalieri francesi, da tenersi nella piazza d'armi di Barletta il 13 febbraio 1503. Ed ecco il tradimento: un italiano, il cavaliere mercenario Grajano d'Asti, decide di schierarsi con i francesi. La vittoria va ugualmente agli italiani, capeggiati da Ettore Fieramosca da Capua, ma da quel momento Grajano d'Asti diviene il mercenario per antonomasia, l'italiano disposto a vendersi perché "dove c'è pane è patria".

E pensare che fu tutta colpa di un errore di trascrizione! Si, perché Grajano d'Asti si chiamava in effetti Gran Jean Dast ed era, come gli altri 12 che combattevano al suo fianco, di nazionalità francese. E oltre alla beffa, patì il danno: fu l'unico cavaliere a morire nella disfida, anche se non sul campo (come narra D'Azeglio) ma alcuni giorni dopo, per le ferite riportate durante il combattimento.

 

Pausania, il generale spartano

Accuse false e ambizioni autentiche

(Sparta, 472 a.C.)

[...] il condottiero è murato vivo nel tempio di Atena [...]

Le città della Grecia, impegnate nella lotta contro i Persiani, incaricarono il generale spartano Pausania di comandare la flotta greca inviata in Asia. Pausania non è però re di Sparta, ma un semplice reggente, e i suoi successi militari gli hanno procurato una fama che preoccupa i suoi conterranei.

 

 

La situazione precipita quando Pausania, strappate ai Persiani Cipro e Bisanzio e posto il quartier generale sui Dardarelli, comincia a comportarsi come sovrano delle città liberate; subito dopo viene accusato di mire regali e connivenza con il nemico, e richiamato a Sparta per essere processato per alto tradimento.

 

ATTEGGIAMENTO AMBIGUO

Assolto dall'accusa, ma rimosso dal comando delle truppe panelleniche, Pausania lascia Sparta e si mette al servizio dei Persiani. A causa di questa scelta, i suoi nemici l'accusano di aperto tradimento. Pausania gioca l'ultima carta e rientra a Sparta per discolparsi o - come ritengono alcuni - per impadronirsi del potere capeggiando la rivolta degli iloti (servi). Il piano fallisce e il generale sfugge all'arresto riparando nel tempio di Atena. Come prova vengono rese pubbliche due lettere; una di Pausania al re di Persia (falsa) e un'altra (autentica) di quest'ultimo al generale spartano. Questa volta il giudizio è di condanna, ma come far uscire il generale dal tempio? Per evitare combattimenti, gli spartani decidono di murarlo dentro, lasciandolo morire di fame. E' il 472 a.C.

 

 

Marco Giunio Bruto

" Tu quoque, Brute, fili mi "

(Roma, 15 marzo 44 a.C.)

[...] Anche tu, Bruto, figlio mio [...]

 

L'epopea repubblicana è giunta al termine. Dopo anni di guerra civile, Caio Giulio Cesare è ormai l'unico depositario del potere. Ma non tutti sono d'accordo con le mire del dittatore. Tra questi c'è Marco Giunio Bruto, nipote di Catone l'Uticense, che ha studiato ad Atene e condivide l'ideale di libertà democratica delle città elleniche. Schieratosi con Pompeo nel corso della guerra civile, dopo la battaglia di Farsalo ottenne il perdono di Cesare che lo nomina addirittura governatore della Gallia Cisalpina e pretore.

 

L'AFFETTO DEL DITTATORE

 
Col passare del tempo e l'instaurarsi della dittatura di Cesare, sente risorgere in lui l'amore per le libertà repubblicane alle quali era stato educato in gioventù. Nonostante l'affetto di Giulio Cesare, che lo aveva anche adottato come figlio, Bruto lo considera soprattutto un ostacolo contro il ritorno della repubblica.

 


TRADIMENTO INUTILE

 
Attirato nella congiura contro Cesare, ne diventa il capo ed è anche lui tra i ventitre che pugnalano Cesare alle idi di marzo nel 44 a.C. Non riesce però a ripristinare la repubblica com'era suo obiettivo: una serie di tumulti provocati dai fedeli di Cesare, guidati da Marco Antonio, costringe i cospiratori alla fuga. Sconfitto a Filippi da Ottaviano e Antonio, Bruto si uccide. E la storia lo ricorderà non come un eroe, ma come un parricida.


 

 

Gano di Maganza

Per gelosia, fece cadere Orlando nell'agguato dei Mori

(Spagna 778 d.C.)

[...] Il passo di Roncisvalle ove Orlando cadde [...]

 

Un altro evento storico ci è stato tramandato sotto forma di leggenda e di capolavoro letterario: lo scontro di Roncisvalle. E nella Chanson de Roland (composta alla fine del secolo XI) un posto particolare spetta a Gano di Maganza, il traditore di Orlando. In questo caso, l'opera non lascia possibilità di dubbi; Gano è il traditore per eccellenza, e la sua motivazione è la più abietta: l'invidia per il rivale. Fonti più attendibili non esistono, ed è quindi improbabile che la fama di Gano, possa mai ribaltarsi. Ma ecco la storia.

 

INFIDO AMBASCIATORE

Carlo Magno e i suoi  paladini sono di ritorno dalla spedizione (infruttuosa) per scacciare gli Arabi dalla Spagna nel 778 d.C. Tra i paladini c'è Gano di Maganza, un cavaliere avido e geloso del favore accordato dal sovrano al nipote Orlando. Un'invidia così bruciante che lo fa venir meno al giuramento da cavaliere. Approfittando della sua missione di ambasciatore presso i Saraceni si accorda con il principe di Saragozza per eliminare Orlando facendo cadere in trappola la retroguardia franca.

 

DURLINDANA E OLIFANTE

Al ritorno dell'ambasceria, è lo stesso Gano a suggerire a re Carlo di porre Orlando a capo della retroguardia. Quando il grosso dell'esercito ha attraversato il passo perenaico, i soldati mori nascosti tra le rocce di Roncisvalle, in territorio navarrese, si gettano sui paladini. Secondo la leggenda, Oliviero prega Orlando di suonare il corno d'avorio (l'Olifante) per richiamare l'esercito, ma questi non vuole rischiare la vita del re. I Franchi si battono coraggiosamente e solo quando non ci sono più speranze Orlando, morente, suona l'Olifante e spezza la spada Durlindana perchè non cada in mano al nemico. Carlo Magno giunge appena in tempo per veder spirare il nobile paladino e scoprire il tradimento. Gano di Maganza viene catturato e ucciso.

 



 

 

 

 

Mordret

Trafitto anche dal sole, il traditore di Artù

(Gran Bretagna, V - VI secolo d.C.)

[...] un raggio di sole ne trafigge anche l'ombra [...]

Nel corso della battaglia di Camlann, nella piana di York in Britannia, la storia si fonde con la leggenda. La storicità della figura d'Artù, infatti, è accertata, ma intorno alla sua figura si è svviluppata un'intricata mitologia che non trova riscontro ma che svela tratti comuni con vari miti eroici: l'eroe invincibile per definizione, può essere sconfitto solo dal tradimento, o dal proprio stesso "lato oscuro". Entrambi gli elementi si ritrovano in Mordret.

FIGLIO SEGRETO

Mordret è il nipote di re Artù, perchè figlio della sorellastra Morgana, ma che in realtà ne è il figlio nato dopo un rapporto incestuoso ottenuto con le arti magiche della sorella del re. Cresciuto nell'odio verso lo zio-padre, ne vuole prendere il posto e cerca d'ucciderlo a tradimento per impossessarsi del regno di Camelot. Ma è un tradimento che pone fine alla vita d'entrambi. Re Artù e Mordret si affrontano in un duello mortale durante la battaglia di Camlann ed è lo stesso sovrano a trapassare il petto del nemico con una lancia; quando la estrae, la ferita è attraversata da un raggio di sole che trafigge anche l'ombra del traditore. Ma pure Artù viene ferito a morte e il suo corpo trasportato nell'isola di Avalon.

ARTORLUS E I SASSONI

La letteratura e la leggenda ambientano la vicenda di Artù in un periodo storico non ben definito, ma dai contorni tipicamente medievali. Molti storici la ritengono ispirata all'opposizione contro l'invasore sassone delle isole britanniche. La Gran Bretagna è, infatti, abbandonata nel 383 dalle truppe romane e le popolazioni britanniche si trovano esposte alla minaccia sassone. Tra V ed VI secolo d.C., però, Artorlus, nobile britannico (o ufficiale romano delle truppe di confine) capeggia una reazione militare contro i sassoni, sconfiggendoli a Monte Badonius e arrestando momentaneamente l'invasione.



 

Galeazzo Ciano

Fascista fino al penultimo momento

(Italia, 11 gennaio 1944)

[...] Reo d'aver decretato la fine del fascismo [...]

Il suo tradimento è quello di votare l'ordine del giorno Grandi, che il 25 luglio 1943 decreta la caduta del fascismo. Ma Mussolini non è ancora finito, e Galeazzo Ciano, che nel frattempo si era rifugiato in Germania, viene arrestato e riportato in Italia. Il processo a carico dei gerarchi colpevoli di tradimento si svolge nel Castelvecchio di Verona dall'8 al 10 gennaio 1944.

PETTO AI FUCILI

Davanti ai giudici ci sono quelli che non hanno potuto, o voluto, mettersi in salvo, e la sentenza capitale è l'epilogo scontato. Alle ore 08,50 dell'11 gennaio 1944 Ciano è fucilato al Forte San Procolo, mentre cerca di offrire il petto al plotone per non essere colpito alla schiena, come i traditori e i disertori.

PASSIVO ESECUTORE

Un ribelle dunque? In realtà gli storici descrivono Ciano, che sposa la figlia di Mussolini, come un passivo esecutore dei voleri del suocero, per quanto gradisca la fama di dissidente. Non esita infatti ad accettare le cariche di Capo ufficio stampa del Governo, sottosegretario alla Stampa, ministro della cultura Popolare, Ministro degli Esteri. Solo nel 1939 Ciano si rende conto che la politica del Fuhrer porta ad una guerra europea dagli esiti incerti e cerca di tenerne fuori l'Italia. Ma ci saranno altri quattro anni di acquiescenza prima del suo voltafaccia finale.

 

 

Gaspare Pisciotta

L'uomo che uccise il bandito Giuliano

(Italia, luglio 1950)

[...] Sarà anche lui tradito con un caffè al veleno [...]

Il bandito Salvatore Giuliano, nella confusione seguita alla caduta del fascismo e allo sbarco degli Alleati in Sicilia, nel 1943 costituisce una banda che, potendo contare su importanti coperture e sulla denominazione di Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia (EVIS), estende le attività criminali in tutta la parte occidentale dell'isola, con azioni di terrorismo contro i partiti di sinistra e l'esercito. Tristemente famosa la strage di Portella della Ginestra, 1 maggio 1947, con il mitragliamento del corteo di contadini che celebrava la festa del lavoro ( 11 morti e 27 feriti). Dopo questo atto  gli vengono però a mancare coperture e aiuti.

A BRUCIAPELO

A tradirlo è il luogo tenente e cugino Gaspare Pisciotta che, per ottanta milioni di lire e la promessa d'impunità per i crimini commessi al fianco del comandate dell'EVIS, lo uccide nel sonno a Castelvetrano. Sei colpi di pistola a bruciapelo eliminano un protagonista delle trame eversive del primo dopoguerra, diventato ormai scomodo.

UN CAFFè DI TROPPO

Si diffonde una versione secondo cui Giuliano è stato ucciso in un inseguimento finito a colpi di mitra, ma le inchieste giornalistiche svelano la verità. Quando, anni dopo, Pisciotta fa intender d'essere disposto a rivelare scottanti retroscena, viene trovato morto all'Ucciardone, a Palermo, per aver bevuto un caffè alla stricnina. E' il 9 febbraio 1954.

 

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