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di |
Michele Zannolfi |
Maestro
dell'Arte della Spada |
Il mio grado marziale, in virtù d’avere fondato, negli anni
novanta, una disciplina marziale denominata
Kenjitsu Hasakido Shuhari,
è quello di: Maestro. Questo conferimento è strettamente
riferito per una collocazione chiarificatrice nella sfera
delle discipline marziali.
Un Allievo d’armi mi ha chiesto di spiegare
in modo approfondito i meccanismi, gli addestramenti e i
concetti che conducono alla genesi di un Maestro.
Narrando della mia infanzia, dell’adolescenza
ed infine della maturità, verosimilmente, questa mia
esposizione diverrebbe romanzata. Tuttavia, occorre tener
presente che ciò che si diviene è, senza alcun’eccezione,
frutto della propria leggenda personale.
M’esprimerò scrivendo del “Buon Maestro”
evitando scrupolosamente di descrivere singoli Maestri.
Posso
affermare che la genesi del “Buon Maestro” è, senza
eccezione, coincidente allo sviluppo della «misericordia»
del suo animo. Misericordia che s’amplifica nella propria
aberrazione, nella devianza e nel disadattamento. Infine, se
si sta percorrendo la «Via», essa diviene catarsi,
purificazione. Egli è cresciuto incedendo in strade, che
anche considerandole separatamente sarebbero difficilmente
percorribili.
Il “Buon Maestro” è divenuto impareggiabile
nel comprendere l’altrui animo. Percepisce la bruma del male
mediante tutti i suoi sensi, e facendo uso di ciò che
durante il suo tragitto ha potuto acquisire, si predispone
alla “Pacata Quiete” che prelude al combattimento.
In questa condizione¹, egli, sospende il
pensiero logico. Muta lo spazio temporale. Colloquia col
proprio animo. Prendendo in questo modo nuova coscienza, si
predispone alla necessaria trasformazione.
Ciò accade sempre. Sia con le cose di poca
importanza sia con quelle di gran rilevanza. Egli si concede
il tempo per la riflessione, quindi decide traendo forza
dalle esperienze vissute. Queste meditazioni possono durare
giorni, oppure riescono a portarsi a compimento tra due soli
battiti del suo cuore adamantino.
Il nostro animo riconosce il Bene dal Male.
La nostra mente valuta i guadagni e le perdite. Ciò fatto,
agiamo di conseguenza. Il “Buon Maestro” ha appreso che così
facendo si rimane sconfitti prima ancora di dare inizio a
qualsiasi combattimento, qualsivoglia azione o qualunque
opera. Egli rifiuta a priori ciò che ha imparato a
identificare come «Male» e agisce in virtù di questo
convincimento.
Ciò soddisfa il quesito posto, vale a dire:
con quale impostazione mentale il giovane divenuto Maestro
si predispone alle avversità?
Durante la sua analisi, l’Allievo mi richiedeva di chiarire i
metodi di un corretto allenamento.
Si sostiene che quale che sia la personalità
di un Maestro d’un arte di combattimento, egli ha alcuni
inevitabili tratti caratteristici. Ha percorso la «Via», ne
ha esplorato tanto la strada principale quanti i sentieri
collaterali, e possiede l’abilità e il desiderio di condurre
lungo lo stesso cammino le generazioni successive. Ciò non
sempre corrisponde al vero.
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Certune volte il “Buon Maestro” ricerca la
solitudine, schivo d’incedere a qualunque forma
d’addestramento codificato.
Molti
aspiranti pronunciano “Arte Marziale” senza approfondirne il
significato. Hanno classificato il concetto di «marzialità»,
verosimilmente, in età adolescenziale e non si sono più
soffermati sul termine. Ben sanno che il significato è «Arte
del guerriero» contrariamente lo rendono come «Arte di far
finta d’essere un guerriero».
Il “Buon Maestro” insegna
l'Arte della guerra, divenendo correo della condotta del suo
Allievo. Cosicché si rende responsabile morale di ogni
azione marziale compiuta dal discente. Il “Buon Maestro” è
sempre in grado d'allontanare, in qualunque momento del
percorso d'addestramento, chi perda, o non possegga, i
requisiti d'animo del "Buon Guerriero".
Il “Buon Maestro”, in contrasto a ciò che comunemente si
crede, ha un’inestimabile sete d’imparare. Egli allena la
mente e il corpo ricercando le forme più semplici. Sa che
esse, combinandosi, diverranno a mano a mano complesse.
Miscelandosi assumeranno figure inimmaginabili. La sua mente
non ricerca la soluzione ma cavalca il dubbio, l’incertezza
del gesto. Diviene favoreggiatrice e complice. Servendosi
della «Quiete» le metterà a fuoco ed essa sarà risolutoria.
I più ne vogliono imitare l’esito ma
ciò è avverabile
solo eccezionalmente. Essi risulteranno favoriti, poiché non
vestiranno il ruolo di risolutore, ciò nonostante dovranno
compiere almeno una parte del percorso seguito dal loro
insegnante.
Senza prendere in considerazione le "esibizioni", che, a mio
parere, nulla hanno a che fare con la marzialità, occorre
fare un distinguo tra le doti congenite, e quelle assorbite.
Le prime costituiscono le abilità trasmesse geneticamente e
possono essere utilizzate in ogni momento ed in qualunque
età con esiti più o meno consistenti. Le seconde devono
essere ricuperate e, se non precisamente automatizzate,
richiedono un ricupero mnemonico a danno della reattività.
Il “Buon Maestro” sa che i frutti dell'addestramento
deperiscono velocemente. Richiedono continue cure e accurate
rivisitazioni. Egli conosce i suoi confini perciò adotta
idonee misure. Il gesto del “Buon Maestro” non è più rapido
di quello dell’Allievo. Egli è semplicemente più “veloce”,
in quanto svolge solo parte del movimento tecnico.
Il “Buon Maestro” opera una sintesi della movenza. Questa è
possibile solo attraverso un antecedente diligente esercizio
psicofisico. La tecnica non può essere studiata e acquisita
dall’Allievo nella sua sola sintesi; così facendo si
presenterebbe priva di tutti i suoi elementi primari. La
nomea di “invincibile” di taluni marzialisti è appunto il
prodotto di una miscellanea di doti e intelligenza
strategica.
Il “Buon Maestro” apprende eseguendo ogni atto, poiché
ripone sempre meticolosa attenzione. Il gesto diviene quindi
“forma” che educa il corpo. Esecuzione in armonia con il
pensiero che accoglie, riceve, comprende e restituisce il
vuoto divenuto pieno (Solido fluidificato, fluido
solidificato).
Dunque la sintesi è l’amalgama di quanto è stato
operato. Se il “Buon Maestro” vi chiedesse di ripetere
la frase: “Assorbimento
di un processo”,
non dubito che sareste in grado di farlo, ma quanti,
senza avere letto questo testo, sarebbero in grado
d’esplicarne il concetto; in altre parole: Si è in grado
di restituire le forme complesse modificandole in figure
semplici, solo dopo averle ampiamente sperimentate.
Padroneggiando la forma si raggiunge l'essenza.
Ciò soddisfa il quesito posto, vale a dire: con quale
metodo un Maestro procede al suo allenamento?
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L'Allievo, all'atto di congedarsi, concludeva sostenendo
che alcune affermazioni erano molto semplicistiche:
Segui il sentiero; impara a percepire; accogli l’energia
vitale; la via del guerriero;
eccetera.
Orbene, lontano da ciò che si definisce «teologia» o da
qualsivoglia altra forma di misticismo, il “Buon
Maestro” ha sperimentato che uno dei passi più
difficili nelle Arti Marziali è l’intendimento del
trittico: Corpo, mente e animo.
In esso si racchiude il pensiero profondo, la natura del
movimento, il dono immenso. Il “Buon Maestro” ha inteso
che la disciplina marziale può essere fatta propria
attraverso la comunione di molte conoscenze. Ogni
esperienza è in grado di apportare un'adeguata
consapevolezza marziale. Paragonabile all''opera dello
spadaio, la «disciplina» altro non è che uno studio
anaglifo della postura, della movenza, della mente e
della psiche. La forgiatura disciplinare richiede la
massima empatia tra Allievo e Maestro.
Per un allievo l’acquisizione è comparabile alla lettura
d’un testo poetico. Potete possedere la sensibilità e
quindi durante la lettura sentirvi compartecipi, infine
affermare che l’avete compreso. Ma non vi si richiede
solo di comprenderlo bensì d’intenderlo nella mente;
d'assimilarlo nell’animo; di viverlo attraverso i vostri
sentimenti; recepirlo con la stessa intensità con cui è
stato elaborato; compararlo con le vostre commozioni;
penetralo di parola in parola; analizzarlo attraverso il
vaglio della punteggiatura; intuirne le scelte
etimologiche.
Così
facendo vivreste alcuni istanti di un'altra vita.
Nell’arte marziale, come col testo poetico, potete
eseguire tecniche difficoltose e affermare d'essere
marzialisti che percorrono il bushidô. Essa, invece, per
essere compresa ed acquisita vi richiede dedizione
assoluta e, se vi riterrà degni, si donerà quale
perfetta traslitterazione della vostra Anima.
Così facendo, vivreste nell’interezza la vostra vita.
"Paragonabile all''opera
dello spadaio, la «disciplina» altro non è che uno studio anaglifo della
postura, della movenza, della mente e della psiche. la forgiatura
disciplinare richiede la massima empatia tra Allievo e Maestro"
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Testo tratto
liberamente |
da |
Il Buon
Maestro |
di |
Michele Zannolfi |
Maestro dell'Arte della Spada |
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