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LA SOGLIA DELLA COSCIENZA

«Le idee possiedono una certa qualità e intensità e che possono favorirsi o inibirsi a vicenda. Le idee possono così passare da stati di realtà (consci) a stati di tendenza (inconsci) e la linea che separa questi due ambiti costituisce la cosiddetta "soglia della coscienza».

 

Johann Friedrich Herbart

Filosofo tedesco

 

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ADDESTRARSI COL PENSIERO

a cura

di

Antonia Barbieri

Coofondatrice della

Federazione Italiana Scuole Marziali Multidisciplinari

 

La maggior parte delle discussioni filosofiche sulla coscienza nasce dall'assunto della separazione tra mente e corpo, formulato dal filosofo francese René Descartes nel XVII secolo. Descartes diede alla coscienza il significato di "consapevolezza soggettiva" di sé e dei propri contenuti mentali e la considerò come l'unica forma di conoscenza di cui l'essere umano non possa dubitare.
Il filosofo inglese John Locke identificò invece la coscienza con le sensazioni e le percezioni fisiche che essa stessa registra, mentre i filosofi tedeschi Gottfried Wilhelm Leibniz e Immanuel Kant le attribuirono un ruolo più centrale e attivo nella organizzazione dell'esperienza umana.
Il filosofo che influenzò più direttamente i successivi studi sulla coscienza fu il tedesco Johann Friedrich Herbart. Egli sostenne che le idee possiedono una certa qualità e intensità e che possono favorirsi o inibirsi a vicenda. Le idee possono così passare da stati di realtà (consci) a stati di tendenza (inconsci) e la linea che separa questi due ambiti costituisce la cosiddetta "soglia della coscienza". Questa concezione favorì lo sviluppo, da parte del fisiologo tedesco Gustav Theodor Fechner, della misurazione psicofisica della soglia della sensazione e il successivo sviluppo, da parte di Sigmund Freud , del concetto di inconscio. Lo studio sperimentale della coscienza ebbe inizio nel 1879, quando il fisiologo e psicologo tedesco Wilhelm Max Wundt fondò a Lipsia il primo laboratorio di ricerca in psicologia sperimentale. Per Wundt, il compito della psicologia era lo studio della struttura della coscienza, che si estendeva alle sensazioni e che includeva i sentimenti, le immagini, la memoria, l'attenzione, la durata, la dinamica e il movimento. La metodologia impiegata da Wundt si basava sull'introspezione: i soggetti riferivano allo sperimentatore i contenuti mentali della propria esperienza cosciente. Questo approccio introspettivo fu, in seguito, pienamente sviluppato dallo psicologo americano Edward Bradford Titchener.
Secondo il Neuroscienziato Richard Passingham, docente presso l’Università d’Oxford (Inghilterra) nell’uomo, come in un’orchestra, tutti gli elementi eseguirebbero la propria parte parallelamente agli altri, dando vita ad un insieme armonico.
La corteccia motoria, una volta ritenuta il direttore di quest’orchestra, sarebbe in realtà una sorta di primo violino, da cui partono i lunghi funicoli nervosi che arrivano ai muscoli degli arti, trasmettendo loro gli impulsi che danno il via alle contrazioni muscolari. E sempre qui sono elaborate enormi quantità d’informazioni sensoriali che arrivano dagli occhi, dai muscoli, dai tendini e dalle articolazioni. Entra in gioco poi anche la corteccia premotoria, il cui ruolo diventa determinante quando il movimento è semplicemente pensato.
Le cellule di questa struttura si accendono alla sola idea dell’azione: se il Marzialista immagina mentalmente la tecnica che dovrà eseguire, nella sua testa avvengono gli stessi processi che si compiono durante il duello vero e proprio e sono persino attivati i muscoli coinvolti, ma gli impulsi nervosi rimangono al di sotto della soglia d’esecuzione. A tutto vantaggio della prestazione effettiva, stando alla tesi secondo cui utilizzando spesso i collegamenti nervosi si accelera lo scambio di segnali e si migliora l’intenzione delle cellule nervose, cioè dei neuroni.
Questa elaborazione mentale, se negativa, è la stessa che vi consiglierà di abbandonare il combattimento, scaricando l’adrenalina che avrete accumulato, con una rapida fuga.
Alla fine degli anni Cinquanta l'interesse per lo studio della coscienza riprese vigore, con specifico riferimento alle condizioni naturali o indotte che ne implicano uno stato alterato: il sonno, il sogno, la meditazione, l'ipnosi e gli effetti delle sostanze stupefacenti.
Gran parte della ricerca sul sonno e sul sogno è volta a definire la natura della coscienza in questi stati psicofisiologici. Per il sogno è stato scoperto un indicatore specifico: a intervalli di circa 90 minuti, gli occhi del soggetto che dorme si muovono rapidamente e, parallelamente, l'attività elettrica del cervello risulta molto diversa da quella presente nella veglia. Se il soggetto viene svegliato, riferisce di stare sognando. Queste ricerche dimostrano che il sonno, un tempo considerato uno stato passivo, implica invece un'attività di coscienza.
Durante gli anni Sessanta l'attenzione verso livelli più elevati di coscienza determinò un notevole interesse verso le culture orientali, come il buddhismo e lo yoga. Fiorirono così diversi programmi di addestramento specifici, come la meditazione trascendentale, e procedure autodirette di rilassamento fisico e di focalizzazione dell'attenzione, come le tecniche di rilassamento.
Fra le tecniche più note si può ricordare il training autogeno, elaborato dallo psichiatra tedesco J.H. Schultz intorno al 1930, che comprende particolari esercizi, che devono essere prima praticati sotto il controllo di un Istruttore e poi ripetuti dall’atleta quotidianamente per conto proprio. Attraverso la ripetizione di questi esercizi si ottiene una focalizzazione dell'attenzione su varie parti del proprio corpo o su sensazioni di pesantezza e di calore, che aiutano il soggetto a imparare progressivamente come rilassarsi e come raggiungere uno stato di "calma". Il Training autogeno induttivo è una metodica impiegata da moltissimi atleti.
A partire dagli anni Settanta è stata messa a punto una metodica, il biofeedback, che consente, mediante l'apprendimento di alcune tecniche specifiche, di estendere il controllo cosciente dell'individuo anche a sistemi di regolazione corporea il cui funzionamento è normalmente spontaneo e non influenzato consapevolmente (quali la pressione sanguigna o la temperatura corporea). Alcuni ricercatori hanno riscontrato che le persone sono in grado di controllare, in certa misura, anche la propria attività cerebrale e, in particolare, il cosiddetto "ritmo alfa", caratteristico degli stati di rilassamento e di meditazione. Queste scoperte hanno portato allo sviluppo di specifici programmi di addestramento definiti alfa training.

 

IPNOSI  E  SPORT

a cura

di

Russel Choen

Redazione Culturale

JK Sports on line

 

Negli anni Sessanta, molte persone sperimentarono gli effetti delle sostanze psicoattive, in grado di provocare alterazioni di coscienza. Le più famose tra queste sostanze sono la dietilammide dell'acido lisergico (LSD), il peyote e la psilocibina. Le ultime due sostanze sono utilizzate nel corso delle cerimonie religiose delle culture del Centro e Sud America. L'LSD è stata, in particolare, utilizzata dai ricercatori per il suo potere "psicotico-mimetico" (è in grado, cioè, di produrre effetti simili a quelli delle psicosi). Queste sostanze hanno anche effetti collaterali rilevanti, che hanno imposto una notevole restrizione del loro uso. Settore di grande interesse per lo studio degli stati di coscienza è l'ipnosi, una condizione intermedia tra il sonno e la veglia, caratterizzata dall'affievolimento delle capacità critiche e dall'aumento della suggestionabilità del soggetto, la cui attenzione è completamente assorbita dalle richieste dell'ipnotizzatore. L'ipnosi ha una lunga e complessa storia, che interessa in parte la medicina e in parte l'antropologia culturale, oltre a essere stata molto studiata dalla psicologia. La possibilità di entrare in uno stato ipnotico dipende dalla suggestionabilità dell'individuo e quindi da tratti specifici di personalità. Anche i limiti dell'ipnosi sono ormai ben chiari: molto resta da capire, tuttavia, sulle particolarità dello stato di coscienza del soggetto ipnotizzato.
Recenti ricerche sui ricordi indotti dall'ipnosi ne hanno confermato la scarsa affidabilità.
  Durante l'ipnosi il soggetto si trova in uno stato di sonno parziale, durante il quale l'attenzione viene spostata dal mondo esterno e concentrata sulle esperienze mentali, sensoriali e fisiologiche. Quando un ipnotista induce una trance, fra operatore e soggetto si sviluppa un rapporto molto ravvicinato. Le risposte dei soggetti in stato di trance, e i fenomeni o comportamenti che essi manifestano obiettivamente, sono il prodotto delle loro motivazioni; il comportamento, cioè, riflette ciò che viene ricercato nell'esperienza.
Benché la maggior parte delle persone sia facilmente ipnotizzabile, la profondità della trance può variare da uno stato di semiveglia a uno stato di sonnambulismo profondo. La trance profonda è caratterizzata dal mancato ricordo di ciò che è avvenuto durante l'ipnosi e dalla capacità di rispondere automaticamente a suggestioni postipnotiche, purché non provochino ansia eccessiva. La profondità della trance è una caratteristica relativamente fissa, dipendente dalle condizioni emotive del soggetto e dall'abilità dell'ipnotista. Solo il 20% dei soggetti è in grado di entrare in stato di sonnambulismo con i comuni metodi di induzione. Dal punto di vista medico non si tratta, tuttavia, di una percentuale significativa, poiché gli effetti terapeutici si verificano anche in trance leggera.
L'ipnosi può indurre un contatto più profondo con la propria vita emotiva, provocando in alcuni soggetti l'annullamento della rimozione e l'espressione di fobie e conflitti nascosti. Tale effetto può prestarsi all'impiego medico ed educativo, ma anche a errate interpretazioni. Infatti, il ripristino tramite ipnosi di ricordi antichi e dimenticati può confondersi con fantasie. «è mio parere che vi sia molta confusione nei riguardi del training, sia nella forma autogena sia induttiva o ipnotica. Un conto è il loro utilizzo nei riguardi della sfera della preparazione tecnica (rivisitazione del movimento e della tecnica), del rilassamento o nell'analgesia (repressione del dolore), ben altra cosa è il loro utilizzo per raggiungere od ottimizzare la forma mentis nelle arti marziali», afferma il Maestro d'armi Michele Zannolfi (Fondatore della disciplina Kenjitsu Hasakido Shu Ha Ri e presidente della Federazione Italiana Scuole Marziali Multidisciplinari) nel testo "Erudiar et Erudietur" e così prosegue: «Dalle mie esperienze ho tratto l'insegnamento che questi trattamenti sono solo succedanei  del percorso tendente ad una corretta formazione mentale, a cui l'atleta deve imperativamente aspirare. Taluni individui, probabilmente in buona fede, s'improvvisano novizi Mesmer , divenendo gestori di forme di manipolazione mentale, sottovalutandone l'estrema pericolosità sia per l'esecutore sia per il "ricevente". Il training, sia autogeno sia ipnotico, applicato alle Arti Marziali, è paragonabile ad un telone posto in soccorso al fine d'ammortizzare un salto nel vuoto. In mani inesperte esso può svanire senza alcun preavviso. Quando il training fallisce, il cedimento nell'atleta può essere devastante, se non distruggente». Nello sport convergono il movimento, il ritmo, la coordinazione, la sincronizzazione, che sono tutte caratteristiche proprie dell'emisfero destro. Se proviamo a pensare coscientemente a quello che stiamo facendo, solitamente tendiamo a confonderci; diveniamo troppo coscienti di noi stessi. In altre parole, invece di utilizzare solo l'emisfero destro, facciamo entrare in azione anche quello sinistro. Il sistema nervoso autonomo, che funziona automaticamente, è sotto il controllo dell'emisfero destro. L'uomo occidentale è, purtroppo, dominato dall'emisfero sinistro, cosa che gli impedisce di raggiungere il proprio pieno potenziale. Nelle arti marziali, come in tanti altri sport, è stata messa in luce l'importanza dell'atteggiamento mentale, e, in particolare l'influenza della mente sul corpo. L'autoipnosi, o l'ipnosi, possono senz'altro migliorare l'autocontrollo in tutte le sue molteplici forme, ma, secondo il parere di esperti marzialisti, è una pratica lesiva se utilizzata nella Via del bushido.

Il "Buon Guerriero" percorre giorno dopo giorno un cammino fatto di sacrificio, devozione e disciplina. Acquisisce nel tempo, dopo essersi messo più volte alla prova,  certezze che non possono certo essere raggiunte con le metodiche del training o dell'ipnosi. Il convincimento d'essere preparati al combattimento, al primo colpo di percussione o alla prima tecnica lesiva, cadrebbe rovinosamente al suolo insieme allo stesso "atleta".

 


René Descartes

(La Haye, Turenna 1596 - Stoccolma 1650)

 

 

Noto anche col nome italianizzato di Cartesio, filoso-fo, scienziato e matematico fran-cese, considerato il fondatore della filosofia moderna. Fu educato dai gesuiti nel collegio di La Flèche, dove approfondì, oltre ai classici, lo stu-dio della matema-tica e della filosofia scolastica. Il proble-ma corpo-mente ha sempre affascinato l'uomo ed interessato i maggiori filosofi.
Ai due estremi abbiamo la concezione dualista compiutamente enunciata da Cartesio che vede nella Res cogitans (cioè la mente) e nella Res extensa (cioè il corpo) due entità rigidamente distinte, e le posizioni più radicalmente riduzioniste. Una posizione probabilmente maggiori-taria fra i Neurobiologi ritiene che non esistano manifestazioni mentali e co-scienza separate dall'attività cerebrale e che quindi la base di tutte le attività mentali sia da ricercare nell'attività dei circuiti nervosi. Ancora, i neurobiologi che hanno affrontato questo problema con il maggior rigore intellettuale, da Gerald Edelman ad Antonio Damasio, sottoli-neano come una piena valutazione degli aspetti emozionali, nonché dell'espe-rienza soggettiva, siano indispensabili requisiti per arrivare in un prossimo futuro ad una piena comprensione di come "la materia diventa fantasia".
 

 

A ME GLI OCCHI

 

liberamente tratto da un elaborato

di

Massimo Polidoro

avvero l'ipnosi permette di trasformare le persone in burattini senza volontà? Ed è veramente possibile ipnotizzare una persona su due piedi in mezzo alla strada? «C'è tanta confusione sulla natura dell'ipnosi» dice Graham Wagstaff, psicologo dell'Univer-sità di Liverpool. «In genere si pensa che l'ipnosi sia uno stato alterato di coscienza e che la persona ipnotizzata possa essere messa in una trance da cui può uscire solamente al comando dell'ipnotizzatore. Non è così. Se si misura l'elettroencefalogramma di un soggetto ipnotizzato, infatti, si scopre che è molto simile a quello di una persona sveglia e rilassata». Nessuno stato alterato, dunque. «L'ipnosi» continua Wagstaff «è una forma di interazione sociale tra due persone, in cui si chiede all'altra di comportarsi in un certo modo e l'altra obbedisce perché in quel momento, in quella situazione, si sente di farlo e non perché è manipolata da una forza a cui non può resistere». «La volontà non può essere annientata» conferma Giampiero Mosconi, psicoterapeuta e presidente dell'Associazione di medicina italiana per lo studio dell'ipnosi (Amisi). «Anzi l'ipnosi agisce solo se si verificano determinate condizioni. La prima delle quali è che il soggetto sia disposto a farsi ipnotizzare:senza il totale consenso del paziente, l'ipnosi non funziona». In ambito medico, l'ipnosi registra successi contro l'ansia, la depressione e vari disturbi psicosomatici conseguenti. «Se il paziente è ben motivato» continua Mosconi «l'ipnosi può essere decisiva nel risolvere molti casi di dipendenza dall'alcol al tabacco, dal cibo alla droga. Qualunque sia il problema i risultati dipendono esclusivamente dalla fiducia del paziente nel medico e dalle motivazione che spingono una persona a sottoporsi alla terapia. Se il tossicodipendente o l'obeso mi sono affidati dai familiari, ma personalmente non intendono uscire la loro problema, non li accetto: sicuramente l'esito sarebbe un fallimento».

 

 Quando l'ipnosi riesce ad avere un effetto, dunque, è solamente perché la persona che ha un problema è motivata a risolverlo: se vuole smettere di fumare, ad esempio, è decisa a farlo ed è disposta a mettersi d'impegno per riuscirci. In questo senso dunque, l'ipnosi si può paragonare a una stampella o, meglio, a un aiuto psicologico che possa facilitare il raggiungimento dell'obiettivo prefissato. Ma senza la volontà del paziente di risolvere il suo problema, l'ipnosi non serve a nulla. Per far capire meglio come ci si sente durante l'ipnosi, lo psicologo americano Andrew Neher fa questo esempio:«Ogni giorno eseguiamo una serie d'azioni in modo automatico, senza nemmeno pensarci:lavarsi i denti, allacciare le scarpe, fare la strada da casa al lavoro. Ci sentiamo indotti a compierle ma le facciamo senza aver preso una decisione in merito senza essere consci di queste azioni. Questo si chiama condizionamento ed è lo stesso tipo di situazione mentale in cui ci si trova quando si è ipnotizzati». è Quindi evidente che per poter ipnotizzare una persona sono necessari tranquillità e tempo: non è proprio possibile ipnotizzare qualcuno su due piedi, come fa il Mandrake dei fumetti. Eppure talvolta si vedono in tv personaggi che sembrano in grado di fare proprio questo. «In realtà» spiega Michael Heap, psicologo al dipartimento di Psichiatria dell'Università di Sheffield, in Inghilterra, «gli ipnotizzatori da palcoscenico sono abili uomini di spettacolo, niente di più e niente di meno. Vale a dire che spesso si servono di complici per le loro dimostrazioni, altre volte usano trucchi ben noti ai prestigiatori ma, più comunemente, approfittano della disponibilità degli stessi volontari a prestarsi alle esibizioni richieste loro, magari perché la cosa li diverte o perché così esprimono le loro tendenze esibizionistiche.» Negli anni Sessanta andavano di moda romanzi e film in cui organizzazioni come la Cia o il Kgb prendevano persone normali e le trasformavano con l'ipnosi in spie o assassini "telecomandati". Nella realtà ciò non sarebbe possibile. «Gli studi di laboratorio» spiega Heap «dimostrano che le persone non sono più obbedienti durante l'ipnosi di quanto lo sarebbero altrimenti.» In altre parole, nessuno farebbe sotto ipnosi qualcosa che non farebbe anche normalmente. «L'ipnosi» dice Moroni «lascia intatto lìimpianto morale della persona, non la costringe a fare ciò che intimamente non vuole». Non esistono irresistibili fluidi magnetici, come nel '700 credeva F.A. Mesmer né capacità romanzesche d'imporre la propria volontà agli altri.

 

 

BREVE STORIA DELL'IPNOSI

 

liberamente tratto da un elaborato

di

Massimo Polidoro

 

Per saperne di più

Granone definisce l’ipnosi come ”la possibilità di indurre in un soggetto un particolare stato psicofisico che permette di influire sulle condizioni psichiche, somatiche e viscerali del soggetto stesso, per mezzo del rapporto creatosi fra questi e l’ipnotizzatore”.
Invita inoltre a respingere decisamente l’idea che ipnosi equivalga a sonno, ricordando che una persona addormentata reagisce solo a stimoli intensi e risulta scarsamente in contatto con il mondo esterno, mentre un soggetto ipnotizzato può reagire a stimoli anche deboli proposti dall’operatore.
Il termine ipnotismo nacque nel 1843 coniato da uno dei massimi studiosi di questo fenomeno, il medico scozzese J.Braid. Egli lo definì “ uno stato particolare del sistema nervoso, determinato da manovre artificiali.” Tuttavia nel 1847 ripudiò il termine proposto per vari motivi. Aveva constatato che solo pochi soggetti si “addormentavano” (circa uno su dieci) e che polarizzare l’attenzione su un’idea procurava già eccellenti risultati per cui propose il nuovo termine monoideismo. Al di là delle sterili dispute terminologiche, comunque, in tutta la storia del genere umano, il mistero, costituito dai movimenti e dai segnali ideomotori, ha avuto momenti in cui è stato scoperto, dimenticato e poi nuovamente scoperto. Alcuni di questi fenomeni sono testimoniati nella cultura cinese, egizia, ebraica, greca e romana.
Nel papiro di Ebers, scritto nel 1500 a.C., si descrivono rituali magici ed incantesimi che collocavano il paziente in uno stato mentale alterato al fine di guarirlo.
Nei templi del sonno egiziani di Iside e Serapide, così come nei templi greci dedicati ad Apollo ed Asclepio, intorno al 400 a.C., si ricercava la guarigione inducendo stati sonnambulici. Greci e romani praticavano il sonno nel tempio per avvicinarsi alla divinità e poter così predire il futuro.
Anche la mitologia testimonia di come gli antichi conoscessero e credessero alla fascinazione; la Medusa paralizzava gli uomini che osavano guardarla fino a pietrificarli, mentre nei racconti di mare le sirene ammaliavano i marinai con il canto per farli naufragare sulla loro isola.
I maghi persiani ed i fachiri indiani praticavano una forma di autoipnosi, pretendendo di possedere, in questo stato particolare, poteri soprannaturali.
Gli indiani Chippewa praticavano una sorta di ipnosi di gruppo, durante le loro pratiche di iniziazione, indotta dalle cantilene dello stregone, tanto che in alcuni soggetti si produceva anche una forma spontanea di analgesia. Gli indiani tuttavia, pur servendosi egregiamente dell’ipnotismo, ne ignoravano le leggi e le cause, finendo per stabilire un nesso immaginario tra questo ed il soprannaturale. Possiamo ricordare, tra le altre, la figura di Filippo Teofrasto Bombasto Aureulus von Hohenheim, detto Paracelso (1493-1541), dal medico latino Celso (padre assieme ad Ippocrate della medicina antica e dotto in ogni ambito del sapere.) Egli studiò a Basilea e successivamente con Tritemio che sembra averlo introdotto alla occulta philosophia. L’interpretazione mistica, dei fenomeni ipnotici, si ritrova ancora alla fine del XVIII secolo con la figura del medico e religioso Gassner (1734-1815) che, appellandosi a demoni e a Dio, continuava ad interpretare questo fenomeno come trascendente influsso del soprannaturale. Nello stesso periodo tuttavia iniziò una nuova interpretazione del fenomeno che potremmo chiamare magneto-fluidica. Il massimo rappresentante di questa concezione fu Franz Anton Mesmer (1734-1815) medico svizzero che studiò medicina a Vienna. Egli partì dallo studio dei testi di Paracelso e giunse a ritenere causa dei fenomeni ipnotici il fluido magnetico animale.

Egli riteneva che vi fosse un fluido che, dall’operatore, si trasmetteva al soggetto il quale, una volta magnetizzato, poteva comunicarlo a chiunque si mettesse in contatto con lui. Le idee e le pratiche mediche di Mesmer suscitarono un tale scalpore che il Governo francese intervenne nel 1784 chiedendo alla Reale Accademia di Medicina uno studio accurato e un rapporto su di esse. I commissari dimostrarono che l’immaginazione senza magnetismo era in grado di produrre convulsioni mentre il magnetismo da solo era inerte e privo di utilità. Ciò sembrò costituire una stroncatura fatale per il mesmerismo, ma non fu così. Infatti del tutto diversa fu la relazione stipulata dall’Accademia di Medicina, a seguito di una nuova richiesta di giudizio, avanzata nuovamente nel 1825. Dopo sei anni di studi si giunse a riconoscere come reale non solo il sonnambulismo ma anche i fenomeni di chiaroveggenza. In ogni caso e’ giusto riconoscere a Mesmer il merito di aver richiamato, per primo in Europa, l’attenzione degli studiosi sui fenomeni ipnotici. Il noto neurologo Charcot (1835-1893), docente alla scuola della Salpetriere, è forse l’ultimo prestigioso medico a mantenere alcuni punti di contatto con le tesi del magnetismo. Formulò una teoria sulla genesi dell’ipnosi fondata su una concezione energetica: riteneva che questa forma di influsso si potesse esercitare solo su soggetti affetti da isteria e finiva per considerare l’ipnosi, una sorta di nevrosi sperimentale. Suddivise inoltre la profondità della trance in tre fasi che denominò: 1) catalettica 2) letargica 3) sonnambulica. Nella prima fase il soggetto mostra una estrema plasticità muscolare, e può mantenere le posizioni suggerite per lungo tempo, senza apparente sforzo. Nella seconda sprofonda in uno stato stuporoso con la tendenza a non reagire a forti rumori e nemmeno a sollecitazioni corporee. Nella terza può muoversi e camminare, reagire alle sollecitazioni del terapeuta e sembrare, ad un occhio sprovveduto, sveglio. Fu l’abate Faria (1776-1812), proprio mentre il mesmerismo era in auge, a respingere le concezioni legate alla predisposizione, e spostò l’accento sul potere di concentrazione del soggetto. Fu probabilmente questa la prima concezione psicologica dell’ipnosi. Questo punto di vista venne ripreso e approfondito da J.Braid che attribuiva ad una alterazione prodotta nel sistema nervoso, attraverso la concentrazione dell’attenzione e la fissità dello sguardo, le strane peculiarità dei fenomeni indagati. La scuola di Nancy, tramite le prestigiose figure di Bernheim (1837-1919) e di Liebault, fece sua la concezione psicologica e non esitò ad entrare in polemica con Charcot, dimostrando l’infondatezza delle sue argomentazioni. Bernheim sostenne, pur senza negare un possibile influsso della predisposizione, che lo stato ipnotico è una situazione di suggestionabilità esaltata. Bernheim definì l’ipnosi uno stato particolare di coscienza che esalta la suggestionabilità senza tuttavia crearla. La suggestionabilità è essenzialmente la tendenza del soggetto a sviluppare risposte che oggi definiremmo ideodinamiche (ideomotorie, ideosensorie, ideoaffettive, ideocognitive); in altri termini l’attitudine a subire l’effetto di una idea e ad attuarla. Il suo modo di descrivere questi fenomeni è: “... una cosa è certa, che nei soggetti ipnotizzati che sono suscettibili alla suggestione, esiste una peculiare disposizione a trasformare l’idea ricevuta in una azione. Nelle condizioni normali, qualsivoglia idea formulata, viene messa in discussione dalla mente. Nel soggetto ipnotizzato, invece, la trasformazione del pensiero in azione, sensazione, movimento o visione si compie in modo tanto rapido ed attivo che l’inibizione intellettuale non ha il tempo di agire. Quando la mente si frappone , si trova già di fronte ad un atto compiuto che viene spesso registrato con sorpresa e che viene confermato dal fatto che si dimostra reale, e non può essere impedito da alcun intervento.” Berneheim capì con chiarezza che l’ipnosi non crea la suggestione; predicatori, oratori, imbonitori, avvocati sono suggestionatori che non necessitano di stati esplicitamente ipnotici per condizionare con il loro eloquio l’uditorio. Al contrario di Charcot fu esplicitamente avverso a ritenere l’ipnosi connessa a qualsivoglia patologia del sistema nervoso e non fu d’accordo, nemmeno, nella tripartizione da questi suggerita della profondità della trance. Sbagliando, si oppose ai mesmeriani, e ritenne l’ipnosi non idonea ad alterare la percezione del dolore e ad indurre anestesia.

Altra figura di rilievo nel panorama europeo di fine ottocento, fu indubbiamente quella di Janet (1859-1947) che pose l’accento su come l’ipnosi sia da intendere come la formazione di una coscienza dissociata, che prenderebbe transitoriamente il posto di quella ordinaria. Janet si avvicina alla nozione di inconscio, formulata dalla scuola Ericksoniana, inteso come sede di automatismi motori e cognitivi ma scopre anche, indipendentemente da Breuer e Freud, le potenzialità terapeutiche dell’ipnosi tramite la catarsi di emozioni antiche sepolte in zone non consce della mente. In certe scuole anglosassoni si è, con qualche ragione, avanzata la tesi che la trance sia una forma di regressione ad un modo arcaico di funzionare del nostro apparato mentale. Si sottolinea come in essa si abbia un assopimento delle funzioni critiche ed un riemergere di modelli atavici quali le difese allucinatorie, il sonno, il sogno, la fuga dalla realtà. La teoria della regressione ha il vantaggio, al contrario della sottolineatura freudiana del ruolo del transfert, di poter spiegare l’ipnosi ottenuta anche contro la volontà del soggetto e anche da parte di una persona sconosciuta o, in taluni casi, odiata. Tale evento sarebbe da intendere come assoggettamento senza reazione causato principalmente dall’inerzia. Con la teoria dei riflessi condizionati di Pavlov si ha un ulteriore apporto alla comprensione dell’ipnosi. Negli scritti Lezioni sull’attività degli emisferi cerebrali del 1927 e Fisiologia dello stato ipnotico del cane del 1932 fornisce una spiegazione su base fisiologica di questa fenomenologia. Durante la trance si avrebbe una parziale inibizione corticale; le residue zone funzionanti, pur se non integrate con le altre aree encefaliche come nella veglia, permettono di spiegare e di concepire lo svolgimento delle numerose operazioni tipiche di quello stato. Le inibizioni sarebbero attivate, come normali riflessi condizionati, dall’uso della parola che funge da s.i.c. Lo stato ipnotico sorgerebbe per un fenomeno di diffusione della inibizione interna che parte da una zona del cervello particolarmente suscettibile a questo riflesso condizionato. Erickson ( 1901-1980) e’ indubbiamente il piu’ importante ipnotista del XX° secolo; a lui si deve la rinascita dell’interesse per questa antica disciplina che, tuttavia, con lui muta profondamente. Questo autore ci insegna che l’osservazione è certamente l’aspetto più importante della prima fase del training ipnoteraputico. L’arte pratica di questa disciplina, richiede che i terapeuti imparino ad osservare i minimi cenni del corpo e ad adattare ad essi le proprie suggestioni; si può apprendere ad osservare il comportamento ed a commentarlo, e ad aggiungere delle suggestioni che lo anticiperanno e in seguito lo potranno attivare. Viene dunque accuratamente studiata, agevolata e utilizzata l’individualità di ciascun paziente, valorizzando la sua unicità e le sue concrete esigenze, in continuo divenire.


 

 
 

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