Page 85 - TESI DI RICCARDO ZANNOLFI
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A fronte di gravi fatti di sangue, in particolare, si cerca di familiarizzare con il
cosiddetto rito abbreviato, cercando di comprendere per quale ragione lo Stato
conceda uno sconto di pena in tali ipotesi.
L’introduzione di detti riti, quali il procedimento per decreto penale, il rito
abbreviato ed il patteggiamento, ho come obiettivo quello di accelerare l’iter
processuale limitando il dibattimento. Nulla sono valse le modifiche effettuate, così
pure le modifiche introdotte da vari Leggi: la L.479/1999 con cui è stata estesa l’area
di applicazione del giudizio abbreviato; la L.134/2003 con cui è stata ampliata la
soglia del limite edittale della pena per accedere al patteggiamento; l’introduzione del
“pacchetto sicurezza” del 2008 che ha a sua volta allargato i presupposti per
l’utilizzo dei riti immediato e direttissimo.
Solo un 17% di tutti gli indagati utilizza tali forme procedurali processuali.
Le ragioni dell’insuccesso sono varie ma in generale va detto che non
necessariamente la via del processo in tempi rapidi è quella preferita dalla strategia
difensiva. Vengono optate tattiche che mirano alla prescrizione del reato oppure
motivi per i quali la difesa preferisce andare al dibattimento poiché ritiene che in
questa sede avrà maggiori possibilità di far valere le prove a proprio discarico.
Che fare dunque per incentivare la scelta da parte della difesa dei c.d. riti premiali?
Non è certo ammissibile un aggiuntiva riduzione di pena da parte del legislatore
poiché l’opinione pubblica non ne sarebbe favorevole, specie quando, come nel caso
del giudizio abbreviato, detti benefici coprono anche reati della massima gravità.
Riguardo il rito abbreviato potrebbe consistere nella sostituzione della riduzione di
pena fissa, con una riduzione di pena inversamente proporzionale alla gravità del
reato commesso così da renderlo più appetibile almeno per fatti di reato la cui pena
edittale sia al di sotto di una determinata soglia. A titolo esemplificativo per le pene
inferiori ai dieci anni.
Questa proposta emerse al Convegno dell’Unione delle Camere Penali Italiane
(UCPI).
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